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Garzon ordina la riesumazione dei resti di Garcia Lorca. E la Spagna si divide

Ultimo Aggiornamento: 16/10/2008 23:06
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16/10/2008 23:06

I resti delle vittime civili del franchismo torneranno alla luce, a trent’ anni dalla fine della dittatura. E i morti delle fosse comuni fanno litigare la Spagna: c’è chi sostiene che sia sbagliato riaprire le ferite di un paese ormai saldamente democratico. E c’è chi invece ritiene che sia l’unico modo per chiuderle, quelle ferite, con la giustizia di una sepoltura, di una lapide, di un nome. Attesi da settant’anni.
Il giudice spagnolo Baltasar Garzon ha disposto oggi l’apertura di 19 fosse comuni contenenti i resti di vittime del franchismo, fra cui quella di Garcia Lorca, nel Burrone di Viznar, vicino a Granada. Qui si ritiene che il grande poeta spagnolo, fucilato dalle milizie franchiste nell’agosto del 1936, sia sepolto assieme ad altri tre giustiziati, i toreri anarchici Francisco Galadì e Juan Arcolla, e il maestro repubblicano Dioscuro Galindo.
“Io canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia. La nobile maturità della tua conoscenza. Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca. La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria”.
Quando Garcìa Lorca scriveva questi versi, dedicati all’amico torero Ignacìo Sanchez Mejìas, non immaginava che la sua vita si sarebbe conclusa pochi anni dopo. E che il suo corpo sarebbe finito in una delle tante fosse comuni che hanno riempito i suoli spagnoli durante e dopo la guerra civile tra franchisti e i repubblicani. Né poteva certo immaginare che settant’anni dopo i suoi resti sarebbero tornati alla luce. E con loro quelli dei tantissimi spariti dopo aver lavorato come schiavi nei cantieri del regime. Baltazar Garzòn,( colui che aveva ordinato nel 2001 l’arresto del dittatore cileno Augusto Pinochet) non ha intenzione di fermarsi, anche se il suo attivismo ha sollevato le critiche di molti commentatori: il quotidiano “El Mundo” in un editoriale del 2 settembre definiva il tutto una “truculenta garzonada” e lo accusava di “piegare la giustizia ai suoi fini di protagonismo”. Il presidente della camera, il socialista José Bono, ha invece appoggiato Garzon: “Le famiglie hanno il diritto di seppellire i propri morti, senza generare dibattiti politici”.
In un documento di 68 pagine presentato oggi il giudice spagnolo ha accolto la richiesta avanzata da 13 associazioni per il recupero della memoria storica e dal sindacato Cnt per l’avvio di indagini sugli scomparsi del franchismo, nonostante la legge di amnistia approvata dal 1977 dal parlamento di Madrid. Garzon afferma la competenza dell’Audiencia Nacional per indagare sui ‘desaparecidos’ del franchismo rilevando che si tratta di crimini contro l’umanità. La procura della Audiencia Nacional ha già annunciato il proprio ricorso: “I fatti sono coperti dalla legge di amnistia votata dal parlamento spagnolo nel 1977, ed in ogni caso l’azione penale spetterebbe ai tribunali territoriali”. Inoltre, hanno spiegato fonti della procura all’agenzia Efe, il concetto di crimini conto l’umanità invocato da Garzon ha iniziato ad essere applicato con il tribunale di Norimberga nel 1945, quando il franchismo era già ampiamente consolidato e dopo la guerra civile del 1936-1939.
Comunque si concluda la battaglia legale, il fatto che il tema occupi i media è una vittoria per le numerose associazioni per la “memoria storica” che da anni si occupano del recupero dei resti dei corpi dei loro familiari e che lunedì scorso hanno presentato una lista unica di nomi di “desaparecidos” nei primi anni del franchismo. Una lista impressionante, di 133.708 nomi, (basti pensare che nella dittatura Argentina i desaparecidos furono circa trentamila). Sono i nipoti di coloro che vissero quegli anni, quelli che per primi hanno iniziato a scavare per recuperare la memoria perduta di nonni e zii di cui non avevano mai sentito parlare. Dal 2000 sono state scoperte ed esumate circa 100 fosse comuni. Parenti e studiosi di archeologia e storia si sono riuniti e hanno dato vita ad associazioni, forum di discussione, iniziative legali. E culturali: “Io non ho mai conosciuto mio nonno”, spiega Eloy Alonso, fotografo e coautore (con Clemente Bernard) del libro “La memoria della terra“, presentato ieri a Madrid, “di lui ho visto solo l’impronta digitale sulla sua condanna a morte: lo fecero firmare così, perchè era analfabeta”. Alonso ha dedicato il proprio lavoro a fotografare l’attività di recupero dei corpi nelle fosse comuni e la loro identificazione. Immagini macabre, ma emozionanti: “ho voluto mostrare anche il dolore e l’impegno delle famiglie che non dimenticano”. “La gente cerca giustizia, luce. E la fotografia può essere un modo per riparare alle offese della storia”.

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