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frasi 3

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2008 01:12
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Sesso: Femminile
Moderatore
30/08/2008 01:04

Esiste un legame tra letteratura e depressione? «Strettissimo, anche se è un po' come il dilemma della gallina e dell' uovo: non sai se è la depressione a fare lo scrittore o se è la scrittura a causare la depressione. Forse non si può scindere e, comunque, sono convinto che esista un fattore depressivo sproporzionato nella vita di tanti scrittori che gravitano verso gli aspetti creativi della malinconia, per esorcizzarla. Nel mio caso, la scrittura è stata sempre un tentativo di purgarmi dei demoni che la mia natura depressiva creava». Chi sono i grandi depressi della letteratura mondiale? «Hawthorne, Camus, Dostoevskij, Poe, John Donne, Virginia Woolf e soprattutto Dante. La cui visione profondamente pessimista della condizione umana è certamente il risultato di un' indole depressa, oltreché fonte del suo straordinario genio».
(W. Styron)

Non v'è dubbio, che ogni condizione umana ha i suoi doveri. Quelli d'un infermo sono la pazienza, il coraggio, e tutti gli sforzi per non essere inamabile a coloro che gli sono vicini.
(S. Pellico, Le mie prigioni)

La malattia cronica è una vecchia signora che adora essere trattata con ogni riguardo.
(M. Proust)

La mia opera è nata per ragioni terapeutiche. Se non avessi scritto, gli stati depressivi che ho attraversato mi avrebbero certamente condotto alla follia.
(E. Cioran)

Tutto quanto conosciamo di grande sono i nevrotici a donarcelo. Gustiamo le loro opere ma ignoriamo quanto siano costate ai loro autori in termini di insonnia, pianto, riso convulso, orticarie, asma, epilessie. Senza malattia nervosa non c’è grande opera.
(M. Proust)

L’intelligenza e il talento vengono pagati con la perdita dell’equilibrio psicologico.
(C. Milosz)

È difficile decidere se i nervi si indeboliscono per causa dello scrivere o se invece il mestiere di scrivere attragga preferibilmente la gente predisposta alla nevrosi.
(P. Levi)

Perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all’umanità quello ch’essa ha di meglio?
(I. Svevo)

Non credo che dall’età post-romantica in avanti si dia un solo caso di grande letteratura che non sia alimentata dalla "malattia".
(E. Gioanola, Letture, ottobre 2006)

[...] rispettare la persona umana menomata dalle nebbie tragiche dell’Alzheimer, inchiodata al letto o alla carrozzella, smarrita nelle sue facoltà fisiche o intellettuali, senza mai identificarla con la sua infermità che diviene anche «in-formità»: l’essere umano nella sua indegnità richiede rispetto nonostante la sua miseria fisica, psicologica, morale anzi, proprio in essa va riaffermata la perdurante dignità umana.
(E. Bianchi, La Stampa 27 maggio 2007)

Le donne si lamentano, gli uomini muoiono.
(proverbio americano)

L'esperienza di essere socialmente denigrati o umiliati compromette l'identità degli esseri umani, proprio come la malattia mette a repentaglio la loro vita fisica.
(H. Honneth, The Fragmented World of The Social: Essays in Social and Political Philosophy)

Il troppo lavoro sedentario, l'attività mentale incessante, la persistenza prolungata, ininterrotta di sforzi a cui era costretto non solo per sostenere quella vita signorile ch'era abituato a condurre, ma anche per nutrire, giustificare e imporre altrui la pronta sua ambizione ai poteri politici; non compensati dal sonno necessario, dai necessarii riposi intermittenti, lo avevano alla fine stremato, gli avevano cagionato un gran perturbamento nervoso.
(L. Pirandello, L'esclusa)

Io vorrei, veda, che gli uomini che protendono di studiare la vita avessero prima una certa conoscenza con la patologia...
(A. Panzini, La mia Romagna)

Ad ogni nuovo giorno, ad ogni nuovo istante sono andato avanti per cause di forza maggiore, le malattie e infine, molto più tardi, le malattie mortali mi hanno fatto scendere dalle nuvole ponendomi sul terreno della sicurezza e dell'indifferenza.
(T. Bernhard, La cantina)

Aveva sempre aborrito gli individui che non erano affetti da nessuna di quelle che lui chiamava le sacrosante malattie che durano tutta una vita, li aveva sempre considerati individui di infima categoria, la cui compagnia, e soprattutto la compagnia di tipo intellettuale, era per lui una faccenda degradante e, se non sudicia, quanto meno sempre tale da debilitare il suo carattere. I cosiddetti sani gli facevano compassione perché costoro, secondo le sue concezioni, non si sollevano mai dalle bassure dell'assoluta ottusità mentale e sono condannati a perseverare vita natural durante in questa loro volgare ottusità mentale, chiunque siano e qualunque cosa facciano, e lui li disprezzava apertamente e tutte le volte sembrava provare un vero piacere nel disprezzare queste misere, indegne creature, tanto nocive all'intelletto, come in effetti una volta aveva dichiarato in mia presenza.
(T. Bernhard, I mangia a poco)

Benedico le molte, noiose e a volte misteriose malattie infantili. Ne ho sofferto. Ma ne valeva la pena. Mi hanno salvato dagli amici, dai compagni di scuola, dagli interminabili giochi dell'infanzia. A letto, fra le lenzuola, scoprivo e conquistavo con i libri mondi inaccessibili. Le malattie infantili mi hanno insegnato la deliziosa compagnia dei libri, così bella da riuscire quasi colpevole, dai Dialoghi platonici a Guerra e pace, alle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, alle decine di Manuali Hoepli, a quei volumi dalla copertina verdognola della Edoardo Sonzogno editore in Milano, stampati malissimo, autentici attentati all'acuità visiva, ma dolcissimi, dentro, come frutti maturi al punto giusto.
(F. Ferrarotti, Leggere, leggersi)

La malattia rende più piacevole la buona salute.
(Eraclito)



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