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Blixen Karen - Il pranzo di Babette

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    00 20/09/2007 17:30

    L'opera e la vicenda

    Questo racconto scritto da Karen Blixen (1885-1962), e rappresentato magistralmente nell'omonimo film da Gabriel Axel, è ambientato in un paesino sul fiordo norvegese, dove vivono Martina e Filippa, figlie del fondatore di una setta religiosa luterana. Le due sorelle, che in gioventù hanno rifiutato, con grande pena, l'amore l'una di un giovane ufficiale, l'altra di un famoso cantante francese, ormai anziane vivono seguendo ancora i dettami del padre: rifiuto dei piaceri terreni, semplicità, rigore, spiritualità e cura dei poveri.
    A loro servizio c'è Babette, fuggita da Parigi per salvarsi dai massacri seguiti alla fine della Comune del 1871 che le hanno portato via il marito, il figlio, gli amici. Silenziosa e dall'animo profondo, conquista la stima e l'affetto di tutti.
    Dopo dodici anni di vita con le due sorelle, Babette scopre di avere vinto diecimila franchi grazie al biglietto della lotteria che un amico di Parigi le rinnova ogni anno. Credendo che, ora, Babette tornerà in Francia, Martina e Filippa non si sentono di negarle l'unica richiesta avanzata in tanti anni: cucinare (e offrire con il proprio denaro) un pranzo celebrativo in occasione del centesimo anniversario della nascita del decano, loro padre.

    L'attesa del pranzo
    L'idea di questo pranzo non viene accolta volentieri da Martina e Filippa. Dopo una vita trascorsa all'insegna della frugalità e del rifiuto di ogni gioia mondana, un vero pranzo francese si carica del valore di potenziale pericolo e di occasione di peccato. La grossa tartaruga che viene recapitata a casa loro diventa emblema della mostruosità e dell'orrore che può scaturire da questo convivio.
    Alcune frasi esprimono bene l'ansia che caratterizza l'attesa:

    • le sorelle "si vedono sopraffatte da quel pranzo francese, avvenimento di natura e portata incalcolabili";
    • Martina insonne pensa inorridita che lei e Filippa avrebbero ospitato "un sabba di streghe";
    • Martina esprime la sua preoccupazione ai membri della Confraternita fondata dal padre e si promettono che "quel giorno avrebbero taciuto a proposito di cibi e bevande".

    Ad accentuare la tensione dell'atmosfera ci sono anche i dissapori degli appartenenti alla Confraternita, che sembrano incatenati a vecchi rancori e screzi.

    Il pranzo
    Babette è in cucina e impartisce lezioni ad un giovanotto che serve i commensali.
    Ad ognuno viene riempito un bicchierino. Tutti i membri della Confraternita ricordano il voto di non pronunciare parola sul cibo, e si distingue un ospite straniero: il generale Loewenhielm che, trentuno anni prima, in quella stessa casa, aveva intravisto una vita "più alta e più pura" insieme a Martina e, di fronte all'impossibilità di realizzare quell'ideale, se ne era andato dichiarando: "Qui ho davvero capito che il Destino è duro, e che in questo mondo esistono cose impossibili". Questa sera l'uomo di successo, l'uomo di mondo, che ha ottenuto tutto eppure è tormentato, vuole la conferma di avere fatto, allora, la scelta giusta.
    E' l'unico a commentare - tra sé e sé, o ad alta voce - quanto gli viene servito, a cominciare da quel bicchierino, che riconosce come il miglior Amontillado che abbia mai assaggiato; lo stesso vale per la minestra: brodo di tartaruga.
    Si noti il suo pacato stupore: assaggiando il vino "sussultò"; poi lo posa "sbalordito". E, al rendersi conto che il brodo è di tartaruga, "fu preso da uno strano panico e vuotò il bicchiere".
    Intanto gli altri, che hanno fatto voto di non parlare riguardo al cibo, iniziano a conversare; la tensione si scioglie, i vecchi rancori si allontanano. Anche il generale conversa, ma alla vista della nuova portata ammutolisce, dicendo a se stesso: "Inaudito! Questo è Blinis Demidoff!", mentre gli altri commensali consumano quel piatto con l'indifferente calma di chi lo ha mangiato "tutti i giorni per trent'anni di fila".
    Ed ecco un altro vino, questa volta spumeggiante, che a tutti sembra una sorta di limonata, tranne che al generale, che riconosce un Veuve Cliquot del 1860. E quando lo annuncia al suo vicino, la risposta è un commento sul tempo.
    Intanto, nonostante il voto, "i convitati si sentivano alleggerire di peso e di cuore più mangiavano e più bevevano".
    Ed ecco il culmine del pranzo, Cailles en sarcophage (quaglie in sarcofago), che riportano il generale al Café Anglais di Parigi, dove assaggiò quello stesso piatto cucinato "dal più grande genio culinario dell'epoca", una donna. Lui non sa che quella donna è di là, in cucina, come non lo sanno ancora Martina e Filippa.
    Prima di congedarsi, il generale, come se avesse raggiunto l'illuminazione che stava cercando, saluta Martina e le dice il contrario di quello che le disse trentuno anni prima: "Stasera, cara sorella, ho imparato che in questo mondo qualsiasi cosa è possibile".

    Il miracolo del pranzo
    E' il miracolo della riconciliazione: il generale si riconcilia con se stesso, comprendendo che l'incontro con Martina lo ha segnato in maniera indelebile e che, spiritualmente, ha trascorso con lei tutti i giorni della sua vita. Anche gli altri si riconciliano tra loro: i taciturni diventano loquaci, i sordi iniziano ad ascoltare, i dissapori del passato rimangono confinati nel loro tempo, ora esiste soltanto un presente pieno di grazia.
    Lo stesso vale per Babette, che ha speso tutti i diecimila franchi perché quello è il prezzo di un pranzo per dodici al Café Anglais. Rimarrà in Norvegia, senza soldi, eppure ricca, perché ha potuto realizzare ciò che è più importante per un artista: esprimersi al meglio, come le disse un giorno Achille Papin, il famoso cantante innamorato di Filippa. C'è anche lui, lì, quella sera, evocato dalle parole di Babette e mai fuggito dai pensieri di Filippa. E tutto sembra trovare un senso, ogni cosa terrena ha il sapore dell'eternità, perché spirito e carne non sembrano più così distanti.

    http://www.catconfesercenti.it/alimentandoweb/10_cultura.htm

    [Modificato da @talia@ 20/09/2007 17:33]

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    00 20/09/2007 17:35
    Karen Blixen
    Karen Blixen, il cui vero nome era Karen Christence Dinesen, nasce il 17 aprile 1885 a Rungstedlund, in Danimarca. Figlia di un proprietario terriero dedito alla politica (poi morto suicida) visse per lungo tempo nella residenza di campagna che il padre prima acquistò e in seguito restaurò a sue spese. Oltre alla placida routine della campagna danese Karen conobbe, almeno per la prima parte della sua vita, gli agi, i pettegolezzi e le mollezze degli ambienti "upperclass" della vicina e moderna Copenaghen.

    Nel 1913 si fidanza con il cugino svedese, il barone Bror von Blixen-Finecke, e insieme a lui decide di partire per l'Africa con l'idea di acquistarvi una fattoria. La vita "civile" non sembrava adatta al carattere ribelle e forse un po' romantico della futura scrittrice.

    Nei salotti si annoia profondamente, quasi sentendo che la vita le sfugge fra le mani senza aver provato emozioni reali e autentiche. L'epilogo rosa di questa specie di fuga, anche se dai caratteri non propriamente tali (almeno agli occhi delle persone che circondano i due) è costituito dal matrimonio che li ufficializza come marito e moglie, celebrato a Mombasa nel 1914. Una volta uniti e in regola con la legge, di comune accordo si trasferiscono in una grande piantagione nei pressi di Nairobi.

    Purtroppo l'iniziale idillio dopo qualche anno va in pezzi. Quella che sembrava una grande storia d'amore coronata da interessi e passioni comuni si rivela in realtà una prigione difficile da sopportare. Il 1921 è l'anno del doloroso divorzio. Bror lascia l'Africa mentre Karen continua a vivere nella piantagione di caffè, ormai sua ragione di vita, facendola crescere e dirigendola con intelligenza e tenacia per ben diciassette anni.
    Ma anche questa laboriosa routine sarà destinata a terminare.
    L'improvvisa crisi sopravviene nel 1931 quando crolla il mercato del caffè e Karen Blixen si trova costretta a chiudere l'attività della piantagione dopo alcuni anni di stentata sopravvivenza. A questo punto ragioni economiche più che sentimentali la costringono a lasciare l'Africa e a tornare alla casa di famiglia, dove si dedica con intensità alla scrittura.

    Fra le molteplici storie che scrive una in particolare è destinata a rievocare i suoi anni africani. Questa sorta di diario intimo, considerato il suo capolavoro, altro non è che il celeberrimo "La mia Africa", titolo che vedrà la luce solo nel 1937.
    La prima pubblicazione che però la vede affermarsi sul mercato è "Sette storie gotiche", edito in Inghilterra e in America nel 1934.

    Malgrado la bruciante nostalgia per il Kenya, nostalgia che ha tutti i caratteri di un vero e proprio "mal d'Africa", la scrittrice passerà il resto dei suoi giorni in Danimarca, peraltro afflitta da una salute malferma e vacillante, forse attribuibile secondo alcune ricostruzioni ad una malattia venerea mal curata che avrebbe contratto dal marito durante il primo anno di matrimonio.

    Gli ultimi anni dunque sono particolarmente tristi e delicati. Minata dall'inesorabile malattia che non le lascia un attimo di tregua, trascorre lunghi periodi in ospedale, talvolta impossibilitata addirittura a scrivere o ad assumere la posizione seduta. Per dare corpo alla sua creatività si affida alla segretaria, depositaria fedele e trascrittirce attenta delle sue flebili dettature.

    La fine arriva il 7 settembre 1962 quando Karen Blixen ha da poco superato i settantasette anni.

    Una particolarità di questa autrice è che lungo tutta la sua carriera ha amato celarsi dietro numerosi pseudonimi: da Isak Dinesen a Tania Blixen fino ad arrivare al mascheramento androgino con le pubblicazioni a nome di Pierre Andrézel. Questo strano e per certi versi incomprensibile atteggiamento attirò su di lei un gran numero di pettegolezzi, anche relativamente all'originalità dei suoi scritti. Resta il fatto che Hemingway, al momento della consegna del premio Nobel, insinuò che il suddetto premio avrebbe dovuto essere anche assegnato alla gran signora venuta dal Nord.


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    Opere di Karen Blixen:

    La mia Africa - (Feltrinelli)
    Capricci del destino - (Feltrinelli)
    Il pranzo di Babette - (Einaudi)
    Sette storie gotiche - (Adelphi)
    Ultimi racconti - (Adelphi)
    Dagherrotipi - (Adelphi)
    I sognatori e altre storie gotiche - (La Nuova Italia)
    Carnevale e altri racconti postumi - (Adelphi)
    Ehrengard - (Adelphi)
    Ombre sull'erba - (Adelphi)
    Racconti d'inverno - (Adelphi)
    Il matrimonio moderno - (Adelphi)
    I vendicatori angelici - (Adelphi)